Titolo: Capitan Carciofo e l'astronavatta
Autore: Andrea Donnini
2007
Erano settantacinque, né una di più né una di meno. Chi fossero e cosa volessero non lo sapeva nessuno, solo una cosa era certa: non erano terrestri. Le astronavi erano posizionate intorno al nostro pianeta da quasi cinque giorni e nessuno riusciva a comunicare con loro. Alla TV ne parlavano tutti, niente più cartoni o telefilm, solo TG e immagini dallo spazio. Non le sopportavo più, era mai possibile che qualunque canale televisivo trasmettesse solo quella porcheria?
Quella mattina mi svegliai presto e arrivai a scuola in anticipo, era il gran giorno. Erano mesi che aspettavo e finalmente era venuto il giorno della gita al museo egizio. Avrei visto delle vere mummie.
- Presto ragazzi, entrate - gridò la prof di matematica, per tutti Grugna. Sembrava impossibile ma quella mattina era ancora più brutta: le era cresciuto sia il naso sia la gobba o almeno così credevo.
Carletto e io entrammo facendole il verso ma poi mi voltai e la vidi, ero paralizzato. Dio mio quanto era bella. Era sull'ultimo gradino dell'ingresso e un raggio di sole la faceva risplendere come una Dea egizia. Si chiamava Debora e a pensare al suo nome mi tremavano le ginocchia.
- Chiudi quella bocca - rise Carletto. - Smettila di sbavarle dietro.
- Sbavarle? Io? - risposi con le guance che mi gridavano: rosso! Rosso!
- Sì, sì. Lo so che ti piace, a chi non piace? Ma tanto lo sai che è inutile, che per loro esiste solo lui.
- Già - risposi. Quelle avevano occhi solo per quel maledetto. Lo odiavo come un gatto odiava l’acqua; come le macine odiano il the. Filippo, il figlio dell'avvocato.
- Si parla del diavolo - sogghignò alle mie spalle Marco, teneva in mano un panino al prosciutto ed era coperto di briciole. - Eccolo che arriva! - aggiunse sputacchiandoci addosso.
Entrò sgommando e parcheggiò proprio davanti all’ingresso, sia mai che qualcuno non vedesse il suo nuovo acquisto.
Sì, odiavo anche il suo motorino. Ne cambiava due o tre l'anno.
- Sarà che i soldi non fanno la felicità - sospirai rassegnato, - ma se avessi il suo motorino e vestissi come lui, forse...
- Allora? Vi decidete a entrare? - questa volta Grugna gracchiò come una rana con il catarro.
- Ciao sfigati! - salutò Filippo con quel sorriso da dentifricio. Sembrava uscito da una pubblicità: vestiti, capelli, denti... insomma, non riuscivo a trovargli un difetto. - Bomba, Brufolo e Carciofo - si allontanò ridendo di noi, io chiaramente ero Carciofo, che poi i carciofi sono il mio piatto preferito e non ho mai capito il soprannome.
Entrammo in classe e subito ci fu la sorpresa ad attenderci: il Preside e il prof di Scienze erano alla cattedra e questo non prometteva niente di buono.
- Mi dispiace ragazzi - esordì il Preside, - oggi niente gita, il professor Salassi vi farà una bella lezione sulla gravità e satelliti. Almeno potrete comprendere meglio che cosa sta succedendo sopra le nostre teste.
No, non potevo sopportarlo, anche qui a scuola. Mi voltai e vidi Filippo sedersi accanto a Debora.
- Non è giusto! - gridai.
- Come? Cosa? - chiese il prof sgranando gli occhi.
Ecco, un'altra figura di merda davanti a tutti. No, non era un buon periodo. Dovevo rimediare e rovesciare il mondo.
- Com'è andata a scuola? - la solita domanda di mamma.
- Bene.
- Viene a vedere, alla TV stanno mostrando delle inquadrature nuove delle astronavi. Lo shuttle si sta avvicinando. Forse ci sarà il contatto.
Non risposi e mi chiusi in camera, erano tutti allucinati. Non funzionava più niente, sembravano degli zombie con astronavi al posto degli occhi.
Forse era giunto il momento di aprire la scatola del nonno.
- Aprila solo quando il mondo sarà in pericolo - mi disse prima di morire. L'avevo tenuta sempre nascosta nel mio armadio. Nonno era un tipo divertente e simpatico, un vero eroe. In guerra aveva avuto anche una medaglia per aver salvato decine di vite. Sì, ero sicuro che quello fosse il momento adatto. Presi la scatola, mi misi seduto sul letto e tremai all'idea di aprirla. La osservai con attenzione: cartone grigio con scritte bianche e rosse, sul lato c'era scritto "colore grigio misura 44". Nonno aveva proprio dei piedi enormi, c'era anche il prezzo Lire 1.800.
- No! - il grido mi fece sobbalzare, era mamma.
Lasciai la scatola sul letto e corsi in salotto, mamma si teneva la testa e piangeva. Mi voltai verso la TV, all'inizio non riuscii a capire ma dopo pochi istanti trasmisero il replay: lo shuttle era stato distrutto da un raggio luminoso. Le astronavi cominciavano a muoversi.
Era l'invasione.
Corsi in camera e aprii la scatola, dentro un bracciale e una ciabatta. C'era anche un biglietto ma era come se sapessi già cosa fare. Mi misi il bracciale e fui circondato da una sfera luminosa, le mie gracili braccia cominciarono a gonfiare, provai del dolore ma durò pochi istanti.
Ero un supereroe con tanto di costume verde e forza sovrumana.
- Ciao, nipotino - la voce era inconfondibile e proveniva da dentro di me.
- Ciao, nonno. Cosa...
- Se mi ascolti vuol dire che hai indossato il bracciale e da ora in poi prenderai il mio posto. Tuo padre non ha potuto perché... insomma, lo sai com'è fatto: numeri, numeri e ancora numeri. Non ha fantasia, non l'ha mai avuta. Il tuo potere nasce dalla mente e si nutre dei tuoi desideri, dei tuoi sogni della tua irrefrenabile fantasia. Ti starai chiedendo della ciabatta. Da ora in poi sarà il tuo mezzo di trasporto, io la chiamavo “astronavatta”, l'astronave ciabatta. Non ti devo dire altro, sicuramente ci sarà un pericolo. Agisci e lascia a casa la razionalità.
Non riuscivo a crederci, io il nuovo paladino?
Allora Capitan Sputacchio era il nonno – pensai sorridendo e un po’ orgoglioso. – Per prima cosa devo trovarmi un nome. Scusa nonno ma non voglio usare il tuo. Sarò…
- Capitan Carciofo! – Gridai e in un istante mi ritrovai a volare con l’astronavatta. – Cavoli! Stupendo.
Riuscivo a sentire tutto. I TG stavano trasmettendo un messaggio degli alieni: la Terra sarebbe stata conquistata. Dovevo agire in fretta. Per prima cosa mi diressi verso quella che doveva essere l’astronave madre, era sopra la città di Roma. Aumentai la velocità, mi trasformai in una palla di fuoco, alla faccia della velocità del motorino di Filippo. Dall'astronave uscirono decine di piccoli dischi volanti e riuscivo a vederli: erano proprio brutti, sembravano gelatina di fragola. Cominciai a sparargli con i raggi laser e a rispedirli nello spazio. Parcheggiai l'astronavatta e entrai nell'astronave madre. Una puzza allucinante, un misto di vomito e piscia di gatto.
- Fermati! - quello doveva essere il capo. Una gelatina alta due metri e con un numero imprecisato di occhi che galleggiavano. Era circondato da un centinaio di piccole gelatine. Fui colpito dai loro raggi ma su di me non ebbero alcun effetto. Solo la puzza aumentò e cominciò a farsi insopportabile, sembrava di respirare in un tubo del pozzo nero. - Chi sei?– mi chiesero puntandomi contro tutte le loro armi.
- Sono Capitan Carciofo e questo è il mio pianeta. Non vi permetterò di distruggerlo.
- Distruggerlo? Non vogliamo distruggerlo - le gelatine smisero di spararmi. Da dietro di loro si fece avanti una gelatina con tanto di corona, doveva essere il loro Re. - Stiamo cercando solo il medaglione.
- Di che medaglione vai parlando?
Il colore della gelatina cambiò ed ero sicuro di aver visto una specie di sorriso su quella superficie informe.
- Il nostro popolo non aveva questa forma. Eravamo molto simili a voi, forse... sì, forse più carini di voi. Vivevamo felici sul nostro caldo pianeta, niente guerre, niente odio solo amore e tanto divertimento. Ma migliaia di anni fa venne un'astronave aliena, ne scesero alcuni strani individui, uno si chiamava Crseth, portava con se una strana arma fatta a bastone. Li accogliemmo con feste e doni ma loro ci ripagarono con l'inganno e rubarono il Sacro medaglione di Giza. I nostri tentativi di fermarli furono inutili e, prima di abbandonarne il pianeta, Crseth ci lanciò contro una maledizione. Ci trasformammo in gelatine puzzolenti, il nostro pianeta divenne una fetida discarica e nessuno fu più felice. Decidemmo di costruire queste astronavi e di metterci sulla tracce degli alieni. Le traccie portano al vostro pianeta. Voi siete i ladri del medaglione.
- Ti stai sbagliando - dissi sicuro. - Non è possibile.
- Non ci sono dubbi. La scia della loro astronave ci ha portato proprio qui da voi.
- Ti dico che ti sbagli. Prima di tutto non siamo capaci di volare nello spazio, al massimo arriviamo al nostro satellite e poi migliaia di anni fa c'erano ancora i romani, i greci o gli egizi. E... - in un attimo mi fu tutto chiaro, il mio sette a storia era servito a qualcosa. - Forse so cosa è successo. Ferma le tue astronavi e vi aiuterò.
La gelatina capo mi guardò perplessa e solo ora mi ero accorto che le gelatine intorno a me erano diventate migliaia e ognuna aveva nuove armi. La cosa stava mettendosi male.
- Padre - sussurrò una gelatina rosa sbucata da non so dove.
- Galatea, che ci fai qui? Torna al tuo alloggio.
Doveva essere la figlia del capo.
- Padre, credo che dovresti ascoltarlo - sussurrò avvicinandosi a me. Puzzava tremendamente ma era un puzzo di rose, un vomitoso e schifoso odore con un pizzico di femminilità. I suoi strani occhi mi sorridevano. Avevo fatto colpo su una gelatina aliena puzzolente.
- Va bene, figlia mia. Il tuo intuito non ha mai sbagliato.
Dalla gelatina uscì una protuberanza informe molto somigliante a un braccio. Mi prese per mano e mi condusse fino a quella che sembrava una stanza del trono. La sensazione di viscido mi faceva venir voglia di vomitare: era come immergere la mano in un secchio di moccio di cammello. Feci finta di niente, dovevo stare al gioco. Ero convinto di avere la soluzione.
- Allora, giovane Capitan Carciofo, parla - chiese il loro Re, la voce era dura e dolce allo stesso tempo.
- Hai un'immagine di questi ladri? - chiesi lasciando la mano, o quello che era, di Galatea.
- Certo. Araldo! Proietta l'ologramma.
Pochi istanti e quello che vidi cancellò via ogni dubbio: avevo ragione. Sorrisi.
- So dove si trova il medaglione! - gridai fiero della mia intuizione. - Attendete e vi porterò il vostro oggetto.
- Ti concediamo sei ore - disse la gelatina capo.
Ripresi l'astronavatta e tornai sulla Terra. Gli occhi del mondo erano concentrati su di me. Immaginavo mia madre incollata alla TV che mi guardava sfrecciare in cielo.
Giza, Crseth e la mappa. La soluzione era banale ed ero contento, avrei visto qualche mummia.
Puntai dritto sull'Egitto, arrivai in un attimo sulla piana di Giza, sorrisi alle telecamere della CNN e iniziai a scavare un tunnel. Dopo una decina di metri di roccia e sabbia travai il passaggio, in quel momento più che Capitan carciofo mi sentivo un vero Indiana Jones. Arrivai a una stanza segreta circolare sotto la Sfinge: decine di mummie alle pareti, reperti e oro a volontà e... tecnologia aliena. Sembrava il pannello di controllo dell'Enterprise di Star Trek. Il medaglione era adagiato sul sarcofago di Crseth che non era altro che il Dio egizio Seth. Gli altri sarcofagi portavano il nome di Iside, Osiride, Anubi e altri ancora. Il nome Crseth era stato storpiato solo per facilitarne la pronuncia. Gli alieni erano giunti sul Terra e gli egiziani li avevano considerati degli dei. Da quello che riuscivo a leggere sui geroglifici qualcosa era andato storto ed erano morti uno dopo l'altro, una strana malattia li aveva abbattuti in poco tempo. Avevano fatto costruire la camera mortuaria e la Sfinge a proteggerla. Avevano dato il via alla cultura egizia e dato il nome del medaglione a Giza. Tutto aveva un senso. L'unica cosa che non aveva una logica era come potessi leggere i geroglifici. Ma avete mai visto un super eroe preoccuparsi di questi dettagli?
Tornai con il medaglione dopo meno di due ore. Ero il salvatore della Terra e non solo, anche gli alieni erano salvi grazie a me. Il nonno sarebbe stato orgoglioso di Capitan Carciofo. E, cosa più importante, avevo finalmente visto delle vere mummie.
Giunsi sull'astronave e fui accolto dalle grida felici di tutte le gelatine.
- Grazie - disse il Re gelatina. - Hai salvato il nostro popolo dalla maledizione e il tuo popolo dalla distruzione. Che sia dato inizio ai festeggiamenti e fatto ritorno sul nostro pianeta.
Mi sentii sfiorare da una gelatina, era Galatea.
- Grazie Capitan Carciofo.
- Grazie a te, Galatea senza il tuo intervento...
- Ero certa che il tuo cuore fosse sincero - sussurrò facendosi sempre più vicina. Il puzzo era insopportabile. Avevo paura che mi volesse baciare.
- Sì, ma... - voleva proprio baciarmi. Va be', pensai al minestrone insopportabile di zia Caterina e mi feci forza.
Il capo gelatina iniziò a pronunciare strane parole innalzando il medaglione. Il puzzo scomparve all'istante, quello che sentivo era solo un dolce profumo di rose, ciò che vedevo era il volto di una bellissima ragazza dai capelli argentati che poggiava le labbra sulle mie.
Il mio primo vero bacio!
Baciavo una principessa aliena! Era bella, anzi, superstratosfericamente bella.
Quel bacio lo ricordo ancora.
Quando tornai sulla terra. Trovai nell'astronavatta dei resti gelatinosi fetidi e vomitevoli. Mi venne un'idea. Li raccolsi in un secchio e tornai acclamato dalle folle. Feci un rapido volo sulla mia scuola.
Debora e le sue amiche mi salutavano e mi lanciavano baci, avrei voluto svelare la mia identità, avrei potuto baciarle tutte ma che bacio sarebbe stato al confronto di quello di Galatea? Poi un supereroe non fa certe cose. Vidi la mia vittima che se ne stava seduta sul motorino fiammante. Un rapido passaggio e un secchio pieno di vomitosa gelatina cadde sulla testa di Filippo.
-------------------------------------------------------------------------------------
Testo distribuito sotto licenza FDL modificata.
Copyright (c) 2004 Andrea Donnini. E' garantito il permesso di copiare e distribuire questo documento seguendo i termini di un uso non commerciale del testo. Per qualunque utilizzo che non sia quello personale dovrà essere contattato il proprietario dell'opera stessa tramite email: andelico@libero.it