Titolo: Il bambino

Autore: Andrea Donnini

Firenze, Dicembre 2004



Il tavolino, le poltrone e ogni oggetto che trema. Intorno solo urla e terrore. La spia continua ad accendersi.

- Andrea! Cosa succede?

- Allacciati quella benedetta cintura.

La ragazza della fila accanto, quella carina con i capelli biondi, tiene stretta tra le mani la croce della collanina. Piange e prega nella sua lingua, sì, non rimane che pregare.

Un istante e le vibrazioni spariscono, i volti terrorizzati sorridono e...

- È il vostro comandante che vi parla, siamo atterrati, avete due ore di tempo poi ripartiremo.

- Dai Andrea prendi la macchina fotografica e scendiamo.

- Ma stavamo per precipitare, l'aereo!

- Sei sempre il solito pessimista, muoviti.

Le prendo la mano e scendiamo trascinati dal flusso di passeggeri: decine di persone che si affollano ma non si toccano. In quell'istante lo sento per la prima volta: un suono triste, lontano, appena percettibile. La luce è accecante, l'aria che trafigge i polmoni e poi quei colori: il verde dell'erba, l'azzurro del cielo, il marrone... troppo finto, innaturale. Mi guardo attorno e quello che vedo mi fa tornare alla mente il cartone animato di Winnie the Pooh: è l'immagine esatta del bosco dei Cento Acri.

- Ti vuoi muovere? Tra due ore ripartiamo.

Siamo sulla vetta di una montagna, l'hostess, quella con lo sguardo da assassina, ci dice che siamo a diecimila metri. Cazzo e l'Everest dove lo mettiamo? Scendiamo lungo il sentiero seguendo gli altri. Ogni tanto qualcuno si ferma, si siede su un sasso e medita, noi no, proseguiamo.

Un attimo e la vista di quel perfetto cerchio mi chiama a se.

- Un Cenote! Bellissimo, ma... troppo perfetto.

- Dai facciamoci una foto.

- Non ti avvicinare troppo. Dio mio!

Sotto solo il vuoto, migliaia di metri, nessuna parete del pozzo, solo una lontanissima città adagiata in una vallata verde. È come una calamita, mi sento rapire da quella visione.

- Andiamo.

- Dove?

- Andrea, non vedi come fanno tutti?

Le prendo la mano e attraversiamo in volo il vuoto. Un vento caldo ci avvolge e ci trascina in alto per poi riporci delicatamente sul lato opposto. Mi sento sicuro, la stretta della sua mano mi da fiducia: insieme a lei posso far tutto. Nuovamente quel suono, questa volta lamentoso, quasi un pianto.

Ora il verde dei prati è più scuro, gli alberi più alti. Attraversiamo un ruscello, due cipressi e nel mezzo una chiesa; mi ricorda quelle della Val di fassa. Sul piazzale decine e decine di persone, per la maggioranza anziane signore con vestiti dell'arcobaleno. Si fa largo tra loro una possente donna di colore con vestiti bianchi come la neve che c'invita ad entrare.

La navata centrale con due file di panche riempite in ogni suo posto, sull'altare uno schermo che trasmette una messa gospel. La musica riempie lo spazio, aumenta, diventa insopportabile.

- Andrea, ti senti bene?

- No, la musica è troppo alta.

- Musica? Quale musica.

Ora sull'altare un anziano prete che sta iniziando la lettura dei Vangeli.

Toc, tunf, toc.

Sento quel suono inconfondibile. Mi volto e...

- Piegati di più su quelle gambe. Dai, vieni avanti. Dritto! Brava sorella!

Un uomo in pantaloncini corti e maglietta gialla che da lezioni di tennis ad una giovane suora indiana, la rete tirata tra due confessionali.

- Te l'avevo detto che era meglio se portavamo con noi le racchette.

- In chiesa?

Nuovamente quel lamento ma questa volta più forte. Mi sento come strappare dal luogo, qualcuno vuole trascinarmi via. Lei mi prende la mano, i suoi occhi sembrano più grandi del solito, il suo sorriso capace di cancellare ogni razionalità.

- Usciamo.

La seguo, fuori i banchi di una fiera.

- Cocco! Cocco bello! - Grida il giovane in piedi sulla fontana.

- Mi prendi dei brigidini?

- Sì, certo.

Mi avvicino a lei con il sacchetto, dalla destra un grido.

- Pista! Fate largo!

In quel momento comprendo tutto, due secondi e cado travolto, il lamento ora è vicino e qualcuno mi scuote per il braccio.


- Andrea! Svegliati! Tocca a te alzarti. Non senti come piange il bambino?




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