Autore : Andrea Donnini

TITOLO : Piccoli soldati


Firenze Gennaio 2006

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Inutile tentare d'ascoltare, un denso silenzio avvolgeva il campo di battaglia. Un tappeto verde disseminato di caduti, vittime dell'ennesimo scontro tra i due eserciti. Un gruppo di sopravvissuti se ne stava in disparte, rannicchiati vicino a un muro, in attesa del nulla. Si guardarono attorno e si contarono. Come sempre, l'unico vincitore era il dolore.

- Capitano!

- Sì, tenente, sono qui! - Disse sbucando da dietro l'angolo. - Rapporto.

- Signore, sette sopravvissuti compresi noi due.

- È andata meglio dell'ultima volta - sussurrò mettendosi il fucile in spalla.

- Che cosa facciamo? - Chiese il tenente.

- Faccia riposare gli uomini, ci attende una lunga notte. Trenta minuti e ci mettiamo in marcia.

- Ai suoi ordini.

Mentre gli uomini si riposavano, pensò di scrivere il proprio diario. Estrasse dalla sacca il blocco con su scritto: Brigata Bersaglieri "Garibaldi", Capitano Carlo Cecioni.

Aveva sempre annotato ogni azione, ogni caduto. Era un libro che parlava di morte, pagine che trasudavano sangue.

L'aprì e come sempre il bianco della carta aveva divorato l'inchiostro precedente, ogni annotazione cancellata. Non si stupiva più, infischiandosene della logica riprese ad annotare l'ultima missione. Fatti, ordini e nomi. Decine di nomi coperti dal dolore. Li conosceva tutti, e sapeva che nessuno avrebbe pianto la loro morte.

Era il momento di mettersi in marcia. Chiamò il tenente e fece preparare gli uomini. Decise di dirigersi a sud, costeggiando quella che loro chiamavano la "Terra del Micio". Un percorso pericoloso dove il nemico poteva colpirli senza preavviso, ma anche l'unico per tornare alla caserma.

Avanzavano distanziati, cercando di scorgere il pericolo. Il sergente, il primo della fila, fece cenno di fermarsi. Chiamò il capitano.

- Che succede?

- Signore - sussurrò abbassando lo sguardo. - Credo sia meglio... venga a vedere.

Carlo oltrepassò lo spigolo roccioso, il cuore si accartocciò su se stesso. Ancora morte, ancora giovani vite stroncate da quella follia. Socchiuse gli occhi e strinse forte il fucile. Decine di corpi, erano nemici che come loro cercavano di tornare a casa. Uccisi dal loro nemico comune. Non riusciva a contarli. Non disse niente, fece solo cenno ai propri uomini di raggiungerlo.

Li guardò uno a uno, i loro cuori avevano già visto troppe volte la morte.

- Tenente! - Gridò sottovoce Carlo. - Voglio due esploratori a guidare il gruppo, dovranno posizionarsi oltre la vallata e segnalare la presenza di "Charlie". Solo armi leggere e nessuno zaino. Devono essere pronti a correre.

- Sì, signore - rispose serrando i denti.


Doveva scegliere, ancora una volta toccava a lui.

Scegliere, scegliere - questa parola gli rimbalzava nella mente. - Maledetta questa divisa, maledetto tutto - gridò il suo cuore.

Eccoli lì, schierati davanti a lui, nessuno aveva il coraggio di guardarlo negli occhi. Nessuno l'avrebbe odiato per quello che stava per fare.

Il sergente Paolini. No, lui no. Gli aveva salvato la vita due volte poche ore prima e poi era troppo importante per il gruppo, era l'unico che conosceva l'ultimo tratto per arrivare a destinazione.

Il caporalmaggiore Ansaldi. Sì, forse poteva scegliere lui. Ma era lento, se esisteva una possibilità di salvarsi con la corsa, bene, lui di certo non l'aveva.

Il soldato scelto Zingoni. Scegliere lui significava farsi odiare dal capitano. Quelle che giravano nel battaglione non erano solo voci ma qualcosa di più.

Erano rimaste le due vittime predestinate: Bracali e Maiolini, soprannominati da tutti Cip e Ciop. Sempre insieme, stessa camerata, stesso corso. Sembrava il destino: insieme anche nella morte.

- Bracali e Maiolini.

- Ai suoi ordini, signore - risposero all'unisono.

- Ho una missione per voi, seguitemi.


I due avanzavano attraverso i resti dell'esercito nemico. Non riuscivano a fare a meno di guardare quei volti dilaniati. Giovani in divisa come loro. Un soldato, accasciato vicino a un masso, aveva avuto la testa quasi staccata dal busto, la mascella che gli pendeva come una dentiera. Il volto assumeva un'espressione beffarda, quasi un sorriso satanico. Oltre la siepe trovarono il corpo di un ufficiale supino sul proprio fucile con i pantaloni strappati che ne mostravano le natiche. Sembrava il culetto di un bambino appena spolverato di borotalco. Bracali cominciò a ridere, una risata isterica, innaturale. Maiolini seguiva a breve distanza e, a ogni passo, continuava a farsi il segno della croce, come un tennista che rigira le palle tra le dita.

Bracali si voltò. - Falla finita, è inutile. Se esistesse un Dio potrebbe permettere tutto questo? - Disse raccogliendo da terra una testa, la teneva per i capelli come Perseo con la Medusa.

Maiolini non rispose, continuò con il suo tic cercando di non inciampare. Bracali scosse la testa, e la gettò il più lontano possibile. Oltrepassarono quello scempio fino a giungere in prossimità di un fossato.

- Ci siamo. Quella è la posizione da tenere - sussurrò Bracali indicando in lontananza un vecchio albero.

- Lui è qui, vero?

- Sì, si sente la puzza. Dobbiamo muoverci in fretta e senza far rumore.

Maiolini deglutì, la gola si impastò del sapore di morte. Corsero verso nord-ovest per alcuni minuti. Lungo il fossato c'erano carri armati fatti a pezzi e qua e là un autocarro rovesciato, con l'albero della trasmissione a fendere la notte come un cannone privo di vita. Si arrestarono accanto ai resti contorti di un sidecar. Presero fiato.

- Ce la fai? - Chiese Bracali.

L'altro annuì, non riusciva a parlare. Avanzarono adagio, fermandosi spesso dietro i tronchi per ascoltare. Udivano i propri respiri, il ronzio degli insetti e nient'altro. Si staccarono dalla strada per addentrarsi su una distesa di terra rossa, le scarpe pesanti facevano scricchiolare le foglie che ricoprivano rami secchi. Maiolini era furioso con se stesso per la propria stanchezza, nonostante procedessero lentamente non riusciva a recuperare un respiro regolare. Si fermarono di nuovo per ascoltare, stavano per ripartire quando lo videro sopra di loro. Due occhi verdi a tagliare il buio. Si scambiarono uno sguardo, l'ultimo saluto e cominciarono a correre in direzioni opposte. Cinquanta probabilità su cento di morire, altrettante di vivere. Lo sentirono arrivare dall'alto. Il grido del compagno sentenziò la sua salvezza. Era al sicuro, si voltò per un istante, sufficiente per vedere il corpo dell'amico fatto a pezzi.

Maledetta bestia!


Gli altri seguivano a distanza, erano in prossimità del cadavere dell'ufficiale quando il grido di Bracali riecheggiò raggelandoli fino alle budella. Nessuno fece parola, il capitano fece cenno di fermarsi. Dovevano attendere un segnale, sperare di non udire un secondo grido.


Carlo si sedette e si accese una sigaretta. Gli altri si misero lontano l'uno dall'altro, nessuno aveva voglia di parlare.

Devo riportarli a casa, solo questo.

Prese dalla sacca il diario e annotò un altro nome. Sì, aveva riconosciuto quel grido nel soldato Bracali. Strano, sapeva che non ce l'avrebbe fatta. Scrisse le annotazioni di rito: tipo di morte, situazione in cui era avvenuta e altre banalità burocratiche. Guardò l'ora, erano le quattro di notte. Ancora poco più di due ore per raggiungere casa o sarebbe terminata lì la loro missione.

- Capitano! Capitano! - Gridò il sergente. - Ho un contatto con Maiolini.

- Mi dia la radio! - Disse strappandogliela quasi di mano.

Gli uomini si avvicinarono per sapere.

- Rapporto - ordinò Carlo.

Maiolini fece un resoconto dell'accaduto e l'informò che Charlie era in attesa di altre prede.

- Va bene - sospirò Carlo. - Mantieni la posizione e informaci se ci sono novità. Possiamo attendere ancora un'ora poi dovremo passare. Se nessuno di noi riesce, raggiungerai da solo la caserma. Questo è un ordine!

- Sì, signore!

Carlo gettò via la sigaretta e riguardò l'orologio. Il tempo trascorse inesorabile: il segnale di Maiolini non arrivò mai. Charlie era lì ad attenderli con il suo abbraccio mortale.

- Tenente! - gridò Carlo.

- Ai suoi ordini.

- Le affido il comando - disse senza guardarlo negli occhi. - Porti gli uomini sul lato sud e tagliate dritto per il corridoio. Prendete solo il minimo indispensabile.

- Lei cosa farà?

- Quello che deve fare un comandante: salvare i propri uomini.

- Vorrei rimanere con lei - affermò mettendosi sugli attenti.

- No, lei deve condurre gli uomini. È un ordine!

- Sì, signore. Ma cosa intende fare? - Chiese il Tenente.

- Mi farò inseguire da Charlie. Lo condurrò in trappola verso l'imbuto.

- Ma non avrà scampo - sussurrò.

- Lo so, ma forse l'avrete voi. Andate, non abbiamo più tempo.

Avvertirono Maiolini e sincronizzarono l'azione.


Charlie era davanti a lui, era riuscito a condurlo dove voleva. I suoi uomini in salvo, questo era quello che contava.

Sì, sì! Ci sono riuscito! Non ho paura, non ho paura - continuava a ripetere a se stesso. - Eccomi Morte, ti ho sempre evitato perché ero il Capitano, perché ero il suo preferito. Ora saprò anch'io cosa significa morire.

Carlo sorrise al ricordo del suo Maestro: "La morte sorride a tutti; un uomo non può far altro che sorriderle di rimando".

Charlie gli fu addosso.


Un suono riecheggiò intorno a loro, un rumore e la luce a fare a pezzi il buio.

- Giulio, svegliati. Porca tr... hai lasciato i soldatini nel mezzo un'altra volta?

- No babbo - rispose Giulio guardandoli sparsi per la casa. - Ti giuro che li avevo lasciati in sala, sul tappeto.

- Giulio! Vieni, il gatto si è mangiato il tuo preferito.


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