Ottobre 2006
Titolo : Karim
Autore : Andrea Donnini
Ispirato dalla lettura di un articolo della rivista di Emergency.
Non era una mattina come le altre, il vento che soffiava da sud portava solo sabbia e morte. Era forse una delle poche cose su cui si poteva essere certi. Mi trascinai in bagno e iniziai a radermi con lo sguardo incollato sulla mano e la mente alla disperata ricerca di qualche bel ricordo su cui adagiarsi. Presi il camice vecchio, ci passai sopra la mano per togliere un po' di polvere e lo indossai.
Sorrisi al mio amore, incorniciato sul tavolo all'ingresso. Erano due giorni che non le telefonavo, mesi che non la vedevo. Sentivo stringermi il cuore ma non potevo permettergli di raggiungermi in quest'inferno. Era stata una scelta mia e lei era l'unica che aveva capito, la sola persona che aveva appoggiato la mia decisione. Saperla al sicuro nelle colline toscane, mi dava forza e coraggio. Sarebbe stato facile rimanere con lei, avevo tutto: amore, pace e un lavoro. Ciò che in realtà ogni uomo cerca ma non potevo chiudere gli occhi, non potevo dimenticare la mia terra, la mia gente; sarei stato come loro.
Il rumore di un cingolato mi spinse a guardare dalla finestra. Di solito le pattuglie americane non passavano così presto, oramai non c’era più niente di sicuro. Ne avevo conosciuti molti di quei giovanotti che sognavano un’America che esisteva solo nei film o che speravano di farne parte combattendo a casa nostra. Odio, era questo che ricevevano dalla mia gente, come dargli torto. Troppo sangue, troppe incomprensioni e tutto per cosa?
Stavo per uscire quando vidi il mio amico Mohamed con il figlio. Lo conoscevo da una vita, lo chiamavo Mohamed il gigante, giocavamo sempre insieme, abbiamo condiviso tutto fino a quando le nostre strade si divisero: lui, da tradizione familiare, nel commercio e io con la voglia di studiare per aiutare il prossimo. Mio zio era ricco e poteva permettersi di mandarmi a studiare al Cairo e da lì in Italia per la specializzazione.
- Mi raccomando, queste sono importanti, non perderle - disse Mohamed al figlio Karim porgendogli un mazzo di chiavi. - Vai al Bazar, oggi sarai tu ad aprire.
Vidi gli occhi di Karim illuminarsi, il piccolo strinse forte il suo tesoro da cui pendeva un portachiavi viola e giallo e sembrò crescere di statura. Salutai il mio amico che mi fece l'occhiolino. Mi avvicinai mentre Karim si allontanava a passo lento, guardandosi intorno orgoglioso.
- Crescono in fretta - sussurrò Mohamed.
- Già, forse troppo.
- Ho paura ma... la vita deve andare avanti. Che possiamo farci?
- Niente. Proprio niente - sussurrai guardando nubi di polvere alzarsi dalla strada.
- Domani sei da noi?
- Certo, mi sono fatto dare un turno di riposo.
- Karim ne sarà felice. Sedici anni, ti ricordi?
Annuì e sentii una fitta al cuore. Quanto tempo e quanto dolore.
M’incamminai verso l'ospedale. Oltrepassati i controlli era il caos, gente ferita e donne con i propri figli in coda. Chi sa quante di loro avranno la fortuna della visita? Tante le rivedrò domani sempre con la speranza che tocchi a loro. Un pediatra per ventimila bambini. Piccoli che si feriscono, che muoiono.
Stavo sistemano il carrello dei medicinali, pronto per mostrarlo ai nuovi arrivati quando arrivò improvviso. Un boato, i vetri che tremano e tutti ad affacciarsi alle finestre per vedere la zona di morte. Fumo e tra poco saranno solo sirene, grida ed elicotteri.
Il chirurgo mi guardò, non erano necessarie le parole. Cominciammo a preparare i letti, i ferri e tutto il resto.
Quanti sarebbero stati questa volta?
Cominciarono le prime sirene, un fumo nero, carico di morte, si levò oltre il quartiere vicino alla stazione.
Impartii ordini agli altri infermieri anche se sapevano già tutto. Faruk, toccava a lui la scelta dei codici: rosso per ferite gravi e speranza, bianco per un'attesa senza pericoli imminenti, nero per pianti e disperazione.
La prima ambulanza arrivò con il suo carico. Incollai lo sguardo su Faruk: Bianco, rosso, nero e ancora bianco. Stavano portando il rosso dentro quando arrivarono due autovetture cariche di brandelli umani e un'altra ambulanza. Alcuni bambini erano già morti, le grida si mescolarono ai pianti. Arrivò un'altra auto, toccava a me, un codice rosso: una portantina con sopra quello che restava di un bambino. Occhi bianchi scolpiti sul nero della pelle bruciata, una gamba di cui rimaneva ben poco e la mano destra dilaniata che stringeva forte qualcosa. Solo allora mi resi conto del portachiavi viola e giallo.
Voleva dirmi qualcosa, rallentai e mi sporsi verso di lui.
- Digli che... che non le ho perse.
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